La fine di un mito
È stato l'attore (ma anche il regista) simbolo per intere generazioni di giovani. Il suo Easy Rider, film datato 1969, in cui recitava accanto a Peter Fonda e Jack Nicholson, ha rappresentato l'emblema della ribellione e della voglia di libertà per anni, facendo di Dennis Hopper una delle personalità più complesse e fascinose di quel cinema ribelle che ha raccontato la controcultura americana degli anni Settanta.
Sabato scorso, all'età di 74 anni, Dennis Hopper è morto nella sua casa di Venice in California a causa di un tumore alla prostata; gli ultimi giorni sono stati durissimi: era arrivato a pesare 45 chili, non era in grado di sottoporsi a chemioterapia.
Con una carriera lunghissima alle spalle, durata più di cinquant'anni, Hopper, regista lui stesso che ha lavorato con tutti i più grandi registi, da Francis Ford Coppola a David Lynch, interpretando personaggi celeberrimi, dal fotoreporter americano in Apocalypse Now allo psicopatico e ossessivo criminale di Velluto blu, pronto a privilegiare gli eccessi (anche nella propria vita), generoso di personaggi disordinati, spesso addirittura psicopatici oppure ai margini decisamente della norma, delle figure che, quasi sempre all'insegna del male, bucavano lo schermo.
Come nei panni di un alcoolizzato giocatore di basket in "Colpo vincente" di David Anspaugh che gli ottenne una candidatura all'Oscar, nel torvo figuro che campeggiava in "Una vita al massimo" di Tony Scott, sceneggiato da Quantin Tarantino, nel frenetico Speed di Ian De Bon o riproponendosi in preda alla follia in Waterworld di Kevin Costner. Ha sempre urlato, sempre rifiutato le mezze misure, detestato i semitoni. Lascia un vuoto difficile da colmare nell'universo cinematografico mondiale.
domenica 30 maggio 2010
Addio a Dennis Hopper, Easy Rider per sempre
Pubblicato da
Giuseppe Pascarella
alle
11:53
Etichette: Dennis Hopper, morte Dennis Hopper
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